Natale 2007: ci svegliamo alle 6.30, facciamo colazione con crema di sesamo e poi partiamo. Soffia forte il vento e fa freddo, ma non lo sentiamo, siamo pieni di adrenalina. Finalmente arriviamo alla frontiera algerina di Taleb Larbi, tra poco lasceremo la Tunisia per addentrarci in Algeria, il più grande paese del continente Africano. L’Imperatore è tranquillo come sempre, ha tutto sotto controllo, conosce già ogni albero del percorso che dovremo affrontare: abbiamo preparato questo viaggio per mesi, consultando Google Maps, travel blogs ed ogni info reperibile.
La guida Fouad è in ritardo a causa di contrattempi con il gruppo che accompagna in uscita dall’Algeria, alla fine arriva verso mezzogiorno e sbrighiamo le formalità in un’ora. Intanto nell’attesa ci mangiamo un panettone: è Natale!!
Partiamo alla volta di Ghardaia città che sta a 515 km percorrendo la strada a nord attraverso Guerrara e Berriane; la strada è inondata di sabbia e un po’ pericolosa soprattutto se percorsa al buio come stiamo facendo noi. Siamo incoscienti e determinati.
Ci fermiamo a Touggourt per cenare, il ristorante (un chiosco sulla strada) ci serve delle costolette di agnello eccezionali, sarà la fame ma nonostante il posto sia veramente spartano, mangiamo benissimo.
A sera inoltrata finalmente arriviamo a Ghardaia, stanchi, dopo aver guidato per 700 km su strade non proprio scorrevoli!
Pernottiamo all’Hotel Atlantide: pulito, ma manca tutto.
CUCCIOLODiRUSPA | Ghardaia Souk CUCCIOLODiRUSPA | Ghardaia CUCCIOLODiRUSPA | Ghardaia Panorama CUCCIOLODiRUSPA | Ghardaia Skyline
Iniziamo la giornata di Santo Stefano con un giro nel souk di Ghardaia dove acquistiamo dei datteri freschissimi ed alcuni tessuti colorati. La città risale al quattordicesimo secolo ed è la più rappresentativa della straordinaria “pentapoli” algerina e si dice rappresenti la sintesi culturale di questo popolo così austero e misterioso. “Città fortezza”, rigorosa, indimenticabili le suggestive case bianche, rosa e rosse, costruite con sabbia, gesso e argilla. Dopo aver fatto due acquisti ci prendiamo una spremuta di arancio e banana e poi partiamo per In Salah.
Sulla strada passiamo da El Golea a visitare Mohammed un amico di Fouad. Ci trattano in modo molto gentile ed affabile e poi ci invitano a pranzo a casa loro, spontaneamente: mangiamo una gustosa zuppa di montone e lenticchie e poi carne di montone essiccata. Il tutto bevendo la famosa acqua minerale locale.
La strada “goudronata” è in ottime condizioni e il vento tira verso sud, procediamo a 150 km/h senza schiacciare l’acceleratore; la macchina pienissima pesa più di 35 quintali, ma passiamo sulle buche volando: gli ammortizzatori Old Man Emu sono formidabili.
Siamo carichi di bella energia ed innamorati di questo paese sconosciuto ai più.
Il popolo Algerino è estremamente ospitale, non ci sono molti turisti e quindi sono ancora sinceramente accoglienti e felici di vedere gli stranieri. Fouad, la nostra guida, ci invita a cenare a casa dei suoi genitori. Conoscere persone culturalmente diverse da noi ci fa capire quanto siamo fortunati. Si parla gesticolando, in francese e in inglese; la conversazione poi si blocca non appena arriva il cibo! Infatti il cibo algerino è un vero miscuglio di culture, le influenze del mediterraneo si sentono, ma anche quelle berbere, soprattutto negli stufati. I turchi e gli arabi hanno aggiunto spezie al tutto ed anche una varietà di dolci deliziosi; il piatto nazionale algerino è il cuscus, cotto al vapore e poi servito con carne, verdure e salsa: è saporito e un po’ piccante e speziato con zafferano, zenzero, cumino all’aglio, menta. Anche ora ( sono le 7 del mattino ) ripensando a quei piatti sento l’acquolina in bocca!!

Il giorno 27 dicembre compriamo i “cheche” i tipici foulard tuareg e, dopo aver denunciato la nostra partenza alla gendarmeria di In Salah, ci avviamo verso il deserto. Nel frattempo la nostra guida Fouad viene sostituita da Issa che conosce la pista per Bordj Mokhtar, il “paese” nel mezzo del nulla avamposto per passare in Mali. In Algeria gli stranieri non possono “girare” senza guida, ed anche ottenere i visti non è semplice, ma ne vale la pena: è un paese bellissimo, dagli scenari vari e molto ospitale. A sud della fascia costiera mediterranea del paese, simile a quella tunisina o marocchina, la terra diventa gradualmente più arida e desolata fino a trasformarsi nel Sahara, migliaia di chilometri quadrati di dune, montagne e rocce, mozzafiato nella loro magnificenza.
Seguiamo la macchina di Mohammed, l’amico che ieri ci ha offerto il montone a El Golea e che stamattina abbiamo casualmente incontrato. Ci fermiamo da alcuni suoi amici sulla strada accanto a un pozzo e beviamo l’onnipresente tè alla menta. Ovunque si sosti, si trova il tempo per un tè, dolcissimo e caldo. Indimenticabile tutta la procedura per prepararlo, un rito che non mi stanco mai di guardare. Il deserto ci regala anche delle sorprese, abbiamo trovato una costruzione bianca con gli infissi turchesi, piazzata lì, in mezzo al nulla!

La giornata è stata massacrante: abbiamo percorso 700 Km facendo slalom tra buche e asfalto rotto, in alcuni tratti la strada era inesistente siamo stati obbligati a prendere piste di sabbia e sassi tagliando qua e là.
Per la prima volta il termometro è salito a 20 gradi. Siamo a latitudine 22° N eppure fa freddo.
Il vento è cambiato completamente, ce l’abbiamo contro ora, rallenta la macchina e i consumi ne risentono. L’Imperatore ha tutto sotto controllo. Issa parla poco, scruta l’orizzonte con i suoi occhi scurissimi e dolci, e indica con il dito la direzione da prendere; Issa ha uno sguardo fiero e saggio, non so dargli un’età e non capisco come faccia ad orizzontarsi, per me è come essere in mezzo al mare, nessun riferimento, eppure lui, il nostro Oh Issa ha tutto sotto controllo. E l’Imperatore si diverte a guidare la sua astronave nel deserto, tutta la discografia dei Led Zeppelin, in particolare i primi 4 album ci fanno da colonna sonora!

Pranziamo ad Arak in un’oasi freschissima in mezzo alle gole omonime una collezione bizzarra di strutture rocciose erose dal vento e dalla sabbia in forme insolite
Finalmente in tarda serata arriviamo al campeggio di Tamanrasset stanchissimi.

Il mattino del 28 dicembre lasciamo il campeggio diretti sull’Hoggar che è costituito da una serie di montagne di origine vulcanica con grandi colonne di basalto; per salire al rifugio Assekren sito a 2600 mt di quota impieghiamo tre ore: tre ore per percorrere 90 km di sterrato e pietraia. Il panorama è arido e brullo ma suggestivo ed i colori incredibili, una varietà infinita di sfumature!
Saliamo a piedi all’Hermitage a 2788 metri di quota e ne vale la pena: si gode di una vista bellissima ed il tramonto è molto romantico! Ceniamo al rifugio, con una comitiva di turisti provenienti da svariate nazioni e poi ce ne andiamo a dormire nella nostra suite, la tenda “matrimoniale” sopra il tetto della Nissan.
Durante la notte il termometro scende a zero gradi e ci vestiamo con tutto il possibile oltre che prendere in prestito un coperta dal gestore del rifugio; la coperta puzza di pecora e di qualcosa di indefinibile, ma visto il freddo ce la facciamo andar bene. Nel frattempo, lo stoico Issa, dorme per terra, sotto la nostra auto. Non c’è modo di farlo dormire in auto. Un personaggio veramente singolare. Oh Issa!
CUCCIOLODiRUSPA | Panorama CUCCIOLODiRUSPA | Panorama CUCCIOLODiRUSPA | Me e l’Imperatore CUCCIOLODiRUSPA | Tramonto sull’Assekren CUCCIOLODiRUSPA | Incontri
Il 29 dicembre, ci alziamo all’alba e per il freddo e praticamente scappiamo dal rifugio di Assekren. Le pietre e la polvere dell’Hoggar odorano di vulcano, di pietra focaia, di polvere da sparo e quell’odore ci rimane sui vestiti e sulla pelle. A Tamanrasset facciamo una doccia in un bagno pubblico e poi compriamo un pezzo di montone, pane, biscotti. Finalmente dopo aver fatto il pieno di gasolio, prima di mezzogiorno ci avviamo per l’altopiano del Tanezrouft dove si trova il villaggio di Bordj Mokhtar al confine con il Mali. I prossimi giorni saranno difficili, dovremo percorrere una pista poco conosciuta, poco frequentata e soprattutto raggiungere un confine tra Algeria e Mali diciamo “fuori mano”…
La pista parte da Ablessa, una città a Nord di Tamanrasset e non è segnata sulla cartina. Inoltre la pista indicata sul Garmin è spostata di 20 km rispetto a quella vera che seguiamo grazie al prezioso Issa. Siamo in mezzo al nulla, felici, increduli e “blessati” da questa meravigliosa opportunità di conoscenza ed avventura. E mi viene in mente l’Ulisse di Dante che dice:
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Dante Alighieri, Inferno, canto XXVI
La pista è per alcuni tratti facile e per altri molto sabbiosa. In alcuni punti abbiamo toccato i 120 km/ora e in altri abbiamo dovuto usare le marce ridotte per poter uscire dalla sabbia.
La “strada” è percorsa da camion e vecchie carrette che fanno la spola tra Algeria e Mali, ma quando scrivo strada non si deve pensare ad una carreggiata con asfalto e linea di mezzeria, si tratta sempre più spesso di una traccia, che noi seguiamo aiutati da Issa e dal Garmin! Incrociamo pochissime auto. A metà strada incontriamo un Toyota del 1969 con alcuni milioni di km fermo per mancanza d’olio motore e gliene regaliamo un kg. Dopo un po’ incontriamo un’altra macchina che ci chiede dell’acqua minerale; grazie alla straordinaria pianificazione dell’Imperatore noi abbiamo acqua, olio, carburante e pezzi di ricambio!

Percorriamo 400 km, che nella realtà sembrano 800 ed alle 18.00 prima che faccia completamente buio, ci fermiamo e decidiamo di fare campo, il punto esatto è N 21° 50′ 21,5″ E 02° 32′ 1,5″ sotto uno dei pochissimi alberi visto in tutto il cammino.
Accendiamo il fuoco dopo aver cercato pezzi di legno in giro ed il nostro versatile Issa cucina un buonissimo montone alla griglia cotto sulle braci: delizioso. La notte è molto più calda che sull’Hoggar, alle 21.00 ci sono ancora 13 gradi.
La mattina del 30 dicembre partiamo per Bordj Moktar alle 7.30 dopo un’alba bellissima.
Il deserto è piatto e procediamo a forte andatura quando prendiamo un’enorme buca scavata poco prima per liberare un camion insabbiato.
Il ponte per lo choc arretra e rompe il carter del motore: disastro!
Il punto esatto dell’incidente è N21° 18′ 17.4″ E1° 20′ 52.8″
Siamo a soli 50 km da Bordj Mokhtar ma siamo bloccati in mezzo al deserto e non abbiamo un carter di ricambio…
TO BE CONTINUED…
6 risposte su “l’Algeria parte prima”
Madonna che esperienza quando abbiamo rotto il carter ! Comunque bellissima l’Algeria. Adesso voglio vedere come racconti della donna Boh 😂😂😂😂
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…ehehe…vedrai vedrai. E non solo la donna Boh, anche le venditrici di piatti profumate e la guida Ashanti che parlava di Paaaaris…
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Non vedo l’ora di leggere il proseguo
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Cmq l’albero della foto sul Tanezrouft esiste ancora . si vede su google map
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Imperatore!!! Non ti smentisci mai!! 😂😎👍
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