Le estati in villa
In questo periodo in cui lo sport italiano è tornato alla ribalta, non solo col calcio ma anche con il tennis e l’atletica, mi sono arrivati precisi precisi dei ricordi della mia adolescenza.
Ho trascorso i miei primi dieci anni di vita ad Assenza, e poi, visto che papà sarebbe andato a lavorare a Peschiera, anche noi lo abbiamo seguito e ci siamo trasferiti tutti a San Benedetto di Lugana.
Io passavo gli inverni con la mia famiglia, tra scuola sport ed amici, mentre invece l’estate stavo a Villa Elena, con i nonni, lo zio Gigi ed i clienti. Le estati erano belle e piene di incontri, in albergo riuscivo sempre a fare nuove conoscenze.
In questo modo ho imparato a parlare il tedesco, per comunicare, questo è proprio il classico esempio di come far di necessità virtù!
Nel paesino dove si trovava l’albergo dei nonni non avevo grandi amicizie, stavo lì per dar loro una mano e soprattutto non avevo il permesso di “uscire”. Ma io ero serena, stavo bene, facevo tante belle scoperte e chiacchieravo con tutti i clienti. Con alcuni di questi clienti, a distanza di moltissimi anni, sono ancora in contatto e so che mi leggono.
Ogni tanto capitava a farmi visita qualche amico da Peschiera e dintorni; venivano solitamente con la vespa o il motorino, ma per lo più arrivavano lettere e cartoline che io conservo ancora gelosamente.
Ma non è questo ciò di cui voglio parlare, stavolta non parlo di mio nonno, di mio papà, delle lettere o del giardino di Villa Elena. I ricordi che mi sono tornati in mente sono legati a mia nonna.

la Lilia
La mamma di mio papà era una donna piccola e traccagnotta, con i capelli scuri acconciati con la messa in piega a bigodini e vestiva preferibilmente di scuro. Aveva gli occhi piccolini sempre socchiusi, come se cercasse di trafiggere ciò che guardava. Non l’ho mi vista con un paio di pantaloni, amava il colore marrone, le gonne, le camicette e le spille. Era incazzata col mondo, sorrideva poco e soprattutto era gelosissima di mio nonno.
Ricordo che non beveva mai il caffè espresso ma preferiva quello della melita o quello d’orzo. La mattina faceva colazione con caffè in cui inzuppava l fette biscottate e poi iniziava a dare le direttive alle donne che lavoravano in albergo.
Faceva lo sfoglio per preparare tagliatelle e tortellini almeno 3 volte la settimana, a volte anche tutti i giorni, ma non la ricordo felice o sorridente e nemmeno ironica, anzi.
Si chiamava Lilia che è un bellissimo nome, quello di un fiore, i documenti però dicevano si chiamasse Elda e non ho mai capito perché. Era nata a Rolo nel 1925 ed apparteneva ad una immensa bellissima famiglia composta da 12 tra fratelli e sorelle, dai nomi ora inusuali, che avevano a loro volta dei figli (miei cugini) che a me stavano tutti simpatici, casinisti, allegri, burloni.
gh’in mitommia?
La Lilia invece era schiva e diceva che le donne sono “tutte putane”, odiava i profumi perché soffriva d’asma ed ogni volta che mio nonno si metteva l’acqua velva (dopo essersi rasato rigorosamente con la schiuma da barba, il pennello ed il rasoio), lei lo scrutava con i suoi occhietti piccoli ed accusatori e gli diceva che odorava “ad putaneina“.
Lui però imperterrito continuava a profumarsi ed a vestirsi con stile stiloso, la baciava e la guardava con occhi adoranti.

La Lilia ogni tanto esordiva con qualche detto popolare emiliano che io ricordo ancora e a volte li ripeto sorridendo, tipo quello che riguarda i “cojoni-i lampioni e l’illuminazione” oppure quella di “fadiga cieca, goloso e affamato di panata ma talmente pigro che piuttosto di andare a prendere il cucchiaio non mangiava”. Purtroppo non so scriverli perché non conosco il dialetto emiliano e non li ho trovati su google. Ma sono sicura che esistano!
La nonna, quando non tirava lo sfoglio a mano col mattarello, era sempre presa a riempire e svuotare le lavatrici, stendeva le lenzuola nel grande campo dietro l’albergo e quando le raccoglieva avevano un profumo pazzesco di vento di erba e di pulito. Il campo, era pieno di olivi e l’erba era spesso alta e selvaggia. Avevamo un signore simpatico che curava olivi e campo, si chiamava Tomaso, ma l’erba cresceva ugualmente rigogliosa e indisciplinata.
Va beh, non c’entra!
Il ricordo della nonna Lilia è arrivato perché con lei, durante le tante estati trascorse a Villa Elena, guardavo le olimpiadi mentre il tennis, i gran premi, il ciclismo ed il calcio lo si guardava tutti insieme. Lo sport in televisione era un avvenimento sociale e trasversale.

l’ufficio del nonno
Il fatto buffo è che alla Lilia non piaceva lo sport, ma quando c’erano le olimpiadi diventava appassionata: lei ed io ci ritiravamo nella stanza della TV, specialmente se le gare o le partite erano di notte o la mattina presto presto. Ad essere precisi non era proprio una sala tv, bensì un ufficio, l’ufficio di mio nonno, che all’occorrenza si trasformava nella mia stanza da letto o nella sala tv.
Questa grande stanza quadrata era in una delle zone più fresche dell’albergo, anche se negli assolati pomeriggi estivi la calura si sentiva anche lì, eccome. C’erano delle grosse poltrone rivestite in un tessuto caldo e scuro, una specie di velluto, perfetto in inverno ma letale in estate, c’era un grande televisore appoggiato sul mobile porta tv in legno, e c’era la scrivania del nonno Giannino nell’angolo illuminata dalla luce della grande finestra, alta e rettangolare.

Sul piano della scrivania c’era una lampada un po’ vecchiotta, la calcolatrice quella con il rotolino di carta che faceva quel bel rumore, TRRRT TRRRRT TRRRRT poi le penne ed un planning per le prenotazioni. In uno dei cassetti c’era uno strano registro ed i timbri col tampone imbevuto di inchiostro.
Il pavimento era in parquet e scricchiolava ad ogni passo, anche il più furtivo, la porta di ingresso aveva due battenti ed era di quelle mezze in vetro, sembrava una porta finestra. La finestra invece guardava sul giardino frontale ed era ombreggiata da grandi piante di oleandro! Quella stanza accoglieva un po’ tutti: clienti, famiglia ed i tanti personaggi che frequentavano Villa Elena. Impossibile dimenticare le domeniche pomeriggio dedicate agli imperdibili Gran Premi, sia quelli di automobilismo che quelli di motociclismo.
In questi giorni di allegra felicitezza ed orgoglio per le performance degli sportivi italiani, dall’atletica al tennis al calcio, mi è tornata in mente la Lilia, con la quale ho trascorso tante estati. Lei è stata la nonna con la quale -bene o male- sono cresciuta (visto che abbiamo abitato praticamente insieme per una decina d’anni e poi ci ho trascorso tutte le estati della mia vita fino all’1986).
Insieme abbiamo guardato tantissime gare di tiro al piattello, o di tiro con l’arco durante le olimpiadi, alcune anche alle 5 del mattino, e poi anche pattinaggio artistico salto in lungo, salto in alto, scherma, tuffi etc. Pazzesco, alla Lilia non piaceva niente, era sempre malcontenta eppure, chissà come, le piaceva guardare lo sport in tv.
Ma non amava quello importante che faceva rumore e scalpore (quello lo si guardava tutti insieme, come avveniva una volta, famiglia, clienti ed annessi).
Alla Lilia piaceva lo sport meno conosciuto o forse, mi piace pensare che le piacesse l’atmosfera di complicità che si creava tra di noi in quelle notti. Ricordo che ad un certo punto andavamo sempre a prenderci qualcosa da bere (acqua tonica o limonata) e poi arrivava il momento del gelato nella notte.
Eh sì.

Non è che il gelato, la notte, sul divano lo mangino solo le donne disperate nei film americani, no no, lo mangiavamo anche la Lilia ed io. A me piaceva il Paciugo o il Record mentre lei preferiva il Concertino o il Croccantino. Non parlavamo molto tra di noi, però avevamo questa tacita intesa e questa sorta di rito.
Sono contenta di queste ondate di ricordi. Servono a riportare in vita per qualche minuto persone che ora sono “altrove”. Senza tragedie, senza dolore, ma solo con un po’ di malinconia per la vita che scorre e per il tempo che cancella un po’ di dettagli.
