Sono in partenza per andare a Milano in auto: mi piace guidare, partire presto, quando ancora la luce è tenue; il cielo è senza colore ed il lago straordinariamente piatto, con una leggera foschia a rendere tutto molto evocativo, quasi un film sbiadito. Le poche persone che scorgo si muovono a rilento, chi passeggia da solo e chi col cane, chi sta seduto ed osserva; ancora nessun ciclista, (mannaggia a loro non li sopporto quando si allenano sulla Gardesana) pochi anche i furgoni delle consegne.
La strada è mia.
Entro in A4 a Peschiera, è scorrevole e decisamente poco trafficata, non circolano i mezzi pesanti e guidare in autostrada senza quei prepotenti è molto più rilassante, riesco anche a sguardare oltre la barriera di sicurezza che delimita la carreggiata. Mi piace perdermi, ascoltando la voce familiare di qualche amico musicista: in auto ho quasi solamente CD di artisti che conosco di persona; mi tengono compagnia e viaggiare in buona compagnia è un piacere.
Mentre guido scorgo i cartelli con gli svincoli: Sirmione, Desenzano, Brescia Est-Centro-Ovest via via fino a Seriate (sigh che voglia di partire), Bergamo, Dalmine e poi SBAM, l’area di servizio di Brembo Sud, l’autogrill a ponte, anzi proprio quell’autogrill mi fa ritornare a mente un’avventura che risale al 2017, ma che ricordo ancora chiaramente.

Era la fine aprile e stavo percorrendo la A4 per andare a raccogliere a Milano la mia amica architetta e poi insieme andare a sentire un concerto in Val d’Aosta, avrebbero suonato i Walking Trees (cui sono legata da un affetto imm’Enzo) e, nonostante la distanza, non mi sarei persa la serata per niente al mondo. Ad un certo punto avevo una necessità fisiologica e quindi decisi di fare una sosta all’autogrill. Appena scesa dall’auto, mi stiracchiai un po’ e mi incamminai verso l’ingresso dell’autogrill; accanto alla mia Micra vi era parcheggiata un’auto inglese, l’avevo notata mentre cercavo di infilarmi in modo corretto nel parcheggio, come dicevo l’avevo notata perché l’autista era seduto dalla parte sbagliata.
Mentre mi dirigevo lesta verso i bagni sentii una voce che diceva a voce alta “hello, helloooo!!!”. Sono donna e curiosa come una scimmia, quindi mi girai ed accanto all’auto inglese vi era un uomo distinto, attraente quanto basta, ben vestito, curato (lo stesso che poco prima avevo visto al posto del guidatore). Sorrisi e con il mio miglior accento inglese domandai “how can I help you??”, praticamente dissi la stessa frasetta con cui mi rivolgo ai clienti in negozio.


L’inglese, con espressione tenera e disperata mi spiegò di aver avuto una disavventura, parlando con quell’accento straordinario che si sente quando recitano Lucifer Morningstar o Sherlock o Hugh Grant in tutte le sue forme. Lo ascoltai senza capire molto e quindi mi scappò un “I am sorry, please speak slowly, I don’t understand” (sempre col mio miglior accento inglese). Per abbreviare la tiritera, evito di riportare i discorsi diretti e scrivo il riassunto, ma la cosa importantissima da tenere a mente è che John (questo è il nome dell’inglese che poi avrei conosciuto meglio) aveva una voce bellissima. Poco dopo emerse dal sedile posteriore un bimbo, avrà avuto 5 anni, un piccolo lord biondo, con i capelli a caschetto, la camicia bianca inamidata ed i pantaloncini corti beige. Adorable!!!

Scoprii in quel momento che John aveva un figlio e che erano giunti in Italia in automobile. Con quella straordinaria voce sexy ed entusiasta mi raccontò di aver visitato la Liguria e di essere stati un paio di giorni a Milano, e poi a Venezia; solo lui ed il figlioletto bellissimo!
Finalmente mi spiegò per quale motivo mi avesse fermata (nel frattempo io pestavo i piedi per la necessità di andare in bagno!!). Mentre John raccontava il suo viaggio in Italia io mi facevo 269 film mentali in cui divento sua amante, sua moglie, sua amica, e poi tutrice del piccolo lord, e ancora la sua compagna di avventure. Insomma John parlava ed io fantasticavo. Raccontò di come poche ore prima avessero lasciato Venezia dove avevano soggiornato per qualche notte per dirigersi nuovamente a Milano. Disse di essersi fermato all’autogrill per fare rifornimento di gasolio e raccontò di come al momento di prendere il wallet custodito nella sua 24 ore assieme al laptop si fosse accorto che la valigetta gli era stata trafugata e così tutto il prezioso contenuto.
“The thing is, pardon my French: a real peace of shit!“
John parlava in modo concitato, dicendo alcune cose che non comprendevo affatto, ma il suo volto stravolto e l’espressione impaurita del piccolo lord mi commossero. Presi in mano la situazione come una supereroina e dissi a John di stare zitto e domandai in che modo poter aiutare. Mesto e quasi timido chiese se potessi prestargli un po’ di soldi per affrontare il viaggio di ritorno, mi diede il suo numero di telefono, indirizzo, codice fiscale, peso, altezza, numero di previdenza sociale e parlava parlava parlava, un po’ come Hugh Grant un po’ come Tom Ellis.
Io sono certa di essere stata stregata da quella voce.
Mentre raccontava del viaggio, del furto, della sua preoccupazione, ad un certo punto lo bloccai esclamando un bel:
“wait a minute, baby”.
Avevo con me un po’ di denaro contante perché progettavo di pagare la mia torta di compleanno, un paio di bottiglie di vino ed il pernottamento, in tutto più o meno 350 euro. Glieli offrii, pensando che, se i miei figli si fossero trovati in difficoltà in un paese straniero, io avrei voluto che qualcuno li aiutasse.
John the voice pronunciò il “thank you” più sexy che io abbia mai udito, mi chiese di aspettare e chiamò la moglie al telefono (nel frattempo tra un help, un sorry ed un please avevo capito che era sposato e che la moglie era in UK per motivi di lavoro); in eurovisione parlai con Cindy, la bella moglie, altrettanto bionda ed elegante come il piccolo lord, che mi ringraziò snocciolando 1245 tipi thank you pronunciati con accento British ed anche il piccolo lord abbracciò la mia gamba dicendo “thank you funny lady”.
A quel punto ero già al settimo cielo, mi sentii la persona più migliore del mondo e chiesi a John the voice se avesse carburante a sufficienza per arrivare a casa. Egli, con espressione desolata mi confessò di avere il serbatoio completamente vuoto. A quel punto allora mi offrii anche di pagargli il pieno, ma prima dovetti assolutamente andare a far pipì.
E così fu! Ci salutammo. Diedi a John il mio iban, la mia mail ed un abbraccio!

Lasciai l’autogrill con una sensazione di leggerezza e di strana allegria. Prelevai poi l’architetta e le raccontai la mia “buona azione”. Lei esclamò “ma sei seria???”, allo stesso modo reagirono i miei amici musicisti.
Non voglio raccontare come sia andata a finire, se i soldi mi siano tornati o meno, la cosa che mi ha reso felice è stato saper di aver compiuto un’azione buona, un gesto d’amore. Ho agito col cuore e mi sono resa conto di aver sempre una grande fiducia nell’essere umano.

4 risposte su “la grande scommessa”
Sabry, continua così, col cuore! Sei grande!!
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Grazie cara!! farò il possibile!
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Siiii , sarebbe bello sapere …
Comunque bello, infonde positività , ottimismo e fiducia , mi ci riconosco, ma non è che ci “ ingannano” sempre vero? Un po’ si però… ahimè
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…quella volta fui ingannata, ma fu causa del piccolo lord, mai avrei pensato che un genitore facesse una truffa dinanzi al figlio. Beh, non importa, io ho agito col cuore, lui, John è stato un po’ ladro. Ha risposto al telefono, per un paio di settimane, adducendo varie scuse, poi credo abbia cambiato numero di telefono. Mi è dispiaciuto…non solo per il denaro ma per il futuro del piccolo lord, soprattutto!
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