Come figlia sono disastrosa.
Di certo non sono l’ideale per una mamma come la mia, appartenente ad una generazione diversa e con un modo di concepire i rapporti tra persone molto distante dal mio.
Ma ogni tanto ho degli sprazzi di buone maniere e di creanza,
e mi comporto da brava figliuola. Solo in quei momenti tolgo i panni della figlia selvadega, indosso quelli della brava toseta e mi sento felice di trascorrere del tempo con lei, in qualche luogo dove so che possa essere a suo agio e divertirsi.
In un assolato e limpido giorno di settembre ho portato mia mamma a fare una gita in collina; abbiamo pranzato in trattoria e poi siamo andate a visitare un santuario abbarbicato su una roccia.

Adoro guidare
Amo il modo di conversare intimo, quasi da confessionale, che si instaura in una automobile quando si è in due.
Ripensando adesso a quel giorno provo ancora le medesime sensazioni: abbiamo parlato del passato, ovviamente, e omaggiato con pensieri e aneddoti persone che non ci sono più fisicamente ma che riportiamo nella nostra vita ricordando quello che sono state, quello che hanno detto o fatto, una sorta di poetica dei Sepolcri fatta in casa.
Amo ascoltare le storie di famiglia, fare luce su ricordi sbiaditi e parlare sempre più spesso di persone ormai scomparse ma incrociate almeno una volta nel corso della vita.
Ovviamente la mamma ha anche nominato gente che lei ha vissuto e io invece conosco solo per sentito dire; mi fa sempre sorridere sentire i soprannomi che si usava dare alle famiglie: e mende.
In un paese dove vi erano varie famiglie con lo stesso cognome, ogni nucleo famigliare aveva la sua menda, per esempio dato che il cognome della famiglia di mia mamma era comune nel suo territorio, per distinguere un omonimo-cognonimo dall’altro c’era Oca, Martìn, del Cuco, Polòn, Cagna etc.
Guidavo ed ascoltavo la sua voce, era felice come una bimba in gita, affascinata da tutto e per nulla brontolona e bastian-contrario.
È originaria della provincia padovana, nata nel 1945 proprio alla fine della seconda guerra mondiale, ultima dopo due fratelli maschi molto più grandi, era “ea picoea” di casa.
Più il tempo passa e più i suoi racconti si rivolgono verso un tempo che non ho vissuto ed appare così differente dal mio ma tanto affascinante. Mi parlava della sua infanzia, delle difficoltà legate alla fine della guerra ma soprattutto mi descriveva persone cui voleva bene.
Cresciuta in campagna, da bimba adorava “andar nei campi” a giocare; mentre guidavo sulle colline che corollano il lago, mi raccontava di quando giocava con la sua amica del cuore ed andava nei campi intorno a casa a cercare “erbe”, quelle spontanee, selvatiche e buone da mangiare: tipo i brustangoli (luppolo selvatico), i radici de campo o pissacani (tarassaco), i stropacui (le bacche della rosa canina) e molte altre, che ho scordato!!
La mamma e la sua amica vagavano per ore nei campi, in mezzo al frumento, giocavano, correvano libere e felici. In campagna possedevano tutti qualche animale, chi e gaiine par i ovi, chi a cavareta o i cunìci o a vaca da late ed anche el mas-cio. Le famiglie erano grandi, c’erano sempre nonni e zii e santoli a prendersi cura dei bimbi, che crescevano liberi, a contatto con la natura e per andare a scuola camminavano anche un’ora. Seduta al mio fianco, in auto, mi spiegava quanto le piacesse sentire rumore delle foglie che avvolgono la pannocchia quando venivano scartossate; le stesse foglie erano poi conservate per imbottire materassi o creare bamboline (erano le bambole con cui le bambine giocavano a quei tempi, oltre che con quelle in “pannolenci” o celluloide).
Sono sempre interessanti le divagazioni sul passato, gli incisi che fa mia madre sono introvabili sui libri o su un motore di ricerca; parla, si ferma, raccoglie i pensieri e poi parla ancora; così facendo mi permette di conoscere una parte della mia essenza e di capire chi io sia, quali siano le mie origini, e comprendere anche i perché ed i percome.
Abbiamo vissuto una bella giornata spensierata, è stato divertente vedere la mia vecchia ciabatta ridere serena, curiosa e concentrata sui paesaggi.
Lei ama il verde dei prati, gli alberi, le colline, i fiori, i cani e le chiese.
Abbiamo pranzato in una trattoria e, proprio mentre stavamo per accomodarci al tavolo, ea Rosanna ha sparato una delle sue perle.
Le ho chiesto, indicando le sedie al tavolo, da quale parte del tavolo volesse sedersi e cosa volesse guardare (panorama o sala), lei serafica ha risposto che voleva guardare il piatto.
Inutile dire che tutti i presenti si sono messi a ridere!
Dopo pranzo siamo andate a visitare il Santuario, ci siamo arrivate con un minibus guidato da un autista simpaticissimo e perfettamente a suo agio sulla strada a strapiombo sul fianco della montagna. La mamma era impietrita ma ha superato la sua famosa paura del vuoto, della velocità e dell’altitudine; abbiamo anche visitato l’interno del Santuario, una lunga sala affacciata sulla vallata, piena di ex voto ed anche la cappella; alla fine della visita, mentre attendavamo il minibus che ci riportasse in paese, ci siamo fatte un po’ di risate in compagnia di altri pellegrini come noi, ed ho notato come sia facile tacar botòn con le persone quando si è felici.

La sera, tornando sola verso casa ripensavo alla giornata, ed immaginavo di fluttuare in aria guardare tutta la mia vita come da un elicottero, che dire, ho riconosciuto le mie mappe emotive, le mie radici, i miei percorsi ed i miei rifugi.
Sto invecchiando, me ne accorgo dal decadimento fisico, ma ne sono orgogliosa, come sono orgogliosa dei segni sul volto e sul cuore; sono orgogliosa delle esperienze (tutte) ed anche degli errori e dei pasticci che ho combinato, senza i quali hic et nunc sarei una persona diversa.
Mi piace.
Invecchiare permette di capire, e quel giorno a spasso con la mamma ho capito molte cose.