L’8 Marzo è passato e con lui la Giornata Internazionale della donna. Mi sarebbe piaciuto celebrare le conquiste delle donne e per “donne” intendo tutti coloro che si identificano con questo termine; invece non ho fatto nulla se non inoltrare qualche messaggio sdolcinato con le mimose e ringraziare alcuni amici Uomini che mi hanno ricordato che sono una donna.
E poi ho riflettuto un po’…
Mentre a Sanremo la direttrice d’orchestra bellissima e bravissima si è incazzata perché l’hanno definita “direttrice” (lei è direttore ed ha studiato molto la musica ma poco la lingua italiana), sempre a Sanremo la Bertè dice “al primo schiaffo denunciate” e la Palombelli “studiate fino alle lacrime e lavorate fino all’indipendenza. Prima o poi funziona” . Nel frattempo in Polonia le donne stanno lottando per il diritto all’aborto e in Siria, dopo dieci anni di guerra stremanti, sono private della quotidianità, costrette a perdite, paure ed umiliazioni, ma non si arrendono e lo fanno con semplicità, cercando di dare il meglio di se stesse anche nelle circostanze più avverse. Potrei continuare a parlare di donne che non si abbattono, nonostante tutto, nonostante violenze ed ingiustizie e snocciolare dati ma non ne verrei più fuori!

Mi ha sempre un po’ infastidito il come viene “strumentalizzata” questa giornata: non dovrebbe essere una festa, non dovrebbe essere un party, almeno non finché esistono le disuguaglianze e la vera parità di genere non c’è ancora in nessuna parte del mondo.
Celebrata l’8 marzo di ogni anno, la Giornata Internazionale della donna è un’opportunità speciale per puntare i riflettori sulla condizione femminile.

Una donna su tre subisce violenza di genere nel corso della sua vita.
Oltre a subire mobbing sul lavoro, stalking, violenze domestiche, le donne devono anche fare i conti con chi non crede alle loro parole. Troppe convivono giornalmente con molestie sessuali, sabotaggi del proprio lavoro, rimproveri a caso, violenze fisiche e psicologiche volte a minare il loro equilibrio psicofisico e la loro salute (e anche la loro stessa vita). Ancora adesso le donne sono pagate meno degli uomini per lo stesso lavoro; in più svolgono le faccende domestiche e si prendono cura della famiglia senza essere retribuite né aiutate, anzi vengono colpevolizzate in quanto desiderano lavorare. (perché le brave donne restano a casa, si occupano da sole dei figli, preparano torte, sorridono sempre e non si devono lamentare perché quelli sono i doveri di una donna cit Silvia Avallone).

Le donne portano creatività, fantasia e competenze a tutti i livelli della società.
Dalla casa all’ufficio, dal laboratorio alla sala riunioni, le donne sono insostituibili, eppure i loro risultati e contributi spesso vengono trascurati, non riconosciuti o addirittura minimizzati. La Giornata Internazionale della donna, al di là delle mimose e degli auguri, dei festeggiamenti selvaggi, dovrebbe essere un promemoria per apprezzare tutte le donne che sono normalmente dimenticate, maltrattate, date per scontate o messe da parte.
Le donne contribuiscono in molti modi all’economia, alla scienza, alla politica e ad altri settori, e lo hanno sempre fatto.
Se si sommano questi contributi, per quanto piccoli possano sembrare, sono inestimabili. Ma il lavoro ed i risultati delle donne spesso rimangono nascosti, non vengono riconosciuti e non vengono valorizzati.

In moltissimi paesi le donne non hanno pari accesso alle istituzioni, al credito bancario o alle opportunità economiche ed educative, perciò, quando si verifica un disastro come l’attuale pandemia, sono proprio loro a soffrire di più.
C’è tanta strada da fare, tanti pregiudizi da abbattere, troppi stereotipi da cancellare e infinite battaglie da combattere finché l’uguaglianza di genere non sarà raggiunta a livello globale. Per noi hanno lavorato le nostre nonne, le nostre madri e lo stiamo facendo anche noi insieme con le nostre figlie, ma nella gran parte del mondo le donne sono considerate pari a zero e non hanno nemmeno la consapevolezza di quanto sia immotivata ed ingiusta la loro condizione.

Noi per prime dobbiamo riconoscere i contributi delle nostre sorelle ed essere grate a tutte quelle che hanno lottato per l’uguaglianza di genere anche prima della nostra nascita. Dobbiamo far sentire la nostra voce quando vediamo ingiustizie, sia che coinvolgano noi stesse o altre, e insistere affinché siano affrontate. Spesso l’azione richiede molti molti tentativi ma non dobbiamo mai arrenderci; è importante affrontare questo grave problema, piuttosto che chiudere un occhio o mantenere lo status quo (e non c’entra il gruppo rock di Whatever you want).

Questa Giornata Internazionale della donna, è stata celebrata in piena crisi pandemica, ma in giro per il mondo (anche in Italia) sono state organizzate manifestazioni, flash-mob e sfilate. Bisogna rendere onore all’importante ruolo che le donne hanno svolto nel tenere insieme le nostre comunità durante questa crisi e trattarle con la dignità che si meritano.
Le donne sono profondamente sottorappresentate dove vengono prese decisioni critiche.
L’arrivo di Kamala Harris alla Casa Bianca è stato estremamente significativo, come tanti altri piccoli passi avanti che sono stati compiuti con fatica e determinazione.
Avere donne al potere fa la differenza.
Con la pandemia, abbiamo visto fantastiche leadership femminili in paesi come la Nuova Zelanda, Taiwan, la Danimarca e la Finlandia. Abbiamo incontrato così tante donne dottoresse, infermiere, operatrici sanitarie che sono tuttora in trincea a prendersi cura delle persone, spesso mentre fanno il doppio lavoro occupandosi della casa e della famiglia. E ci riescono bene, lo fanno con passione, competenze e con amore tanto quanto gli uomini. È semplicemente inaccettabile che la metà delle capacità, della creatività e dell’intuizione dell’umanità manchi quando vengono prese decisioni critiche. Le donne hanno una marcia in più nel sapere creare empatia, sanno dedicare attenzione, hanno incredibile capacità di ascolto e dedizione, sono bravissime a fare rete oltre ad essere decisamente multitasking.

Io sono donna, e vivo in una condizione di privilegio: ho un lavoro che amo, ho una famiglia equilibrata, ho un tetto sopra il capo e cibo, libri, possibilità.
Adoro essere trattata con rispetto, anche con galanteria perché no?
Ma non mi piace essere considerata inferiore.
Sono diversa da un uomo certamente, ma non inferiore.
I miei talenti sono tanti e non mi sento meno competente di un uomo, mi sento differente.
Pretendo gli stessi diritti, esigo lo stesso trattamento economico e voglio la stessa considerazione riservata ad un uomo.
Sono indipendente, autosufficiente e libera da preconcetti; non amo le imposizioni, i doveri senza senso e neppure dover fare le cose perché “sono donna”.
Sono madre ma ho cambiato meno pannolini di quanti ne abbia cambiati il padre dei miei figli.
Sono femmina ma adoro indossare i pantaloni.
Sono donna anche se non mi tingo i capelli e non mi trucco.
Sono intelligente, anche se non ho una laurea.
Sono bella, perché la bellezza non è solo in ciò che appare, la bellezza è anche in ciò che si comunica.
“Ancora oggi non veniamo educate a sperimentare la nostra libertà, bensì a piacere. A sorridere e dire grazie, a costringere la nostra complessità in una rigida semplificazione che ci pretende attraenti o materne. Ma mai disubbidienti, mai pericolose con le idee e la creatività. Siamo anzi incoraggiate a soffocarle in nome di una causa più alta: l’amore. Per la famiglia, per un uomo. Ma quanto disamore c’è dietro questa richiesta? Che gigantesco spreco di intelligenza. Quanta ingiustizia, e violenza.”
Silvia Avallone, dal Corriere della Sera
PRINCIPESSE O STREGHE MA CON LA NOSTRA VOCE
Per finire in musica questo lungo pippone ecco uno dei passaggi chiave del testo della canzone che da il titolo a questo articolo, il passaggio che più amo io, che come la Bertè (e moltissime altre donne), non sono una signora.
Non sono una signora
Una con tutte stelle nella vita
Non sono una signora
Ma una per cui la guerra
Non è mai finita
Non sono una signora
Una con troppi segni nella vita
Per chi avesse voglia di fare un salto nel tempo:
È il 1982.
La Corte d’Appello di Brescia assolve per insufficienza di prove tutti gli imputati per la strage di Piazza della Loggia.
In Germania nasce il primo bambino in provetta.
Dopo l’omicidio del segretario regionale del PCI siciliano, ad aprile il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa viene nominato prefetto di Palermo con poteri speciali di contrasto alla criminalità organizzata: il generale sarà ucciso 5 mesi dopo.
La Nazionale Italiana di Enzo Bearzot vince il Campionato Mondiale di calcio in Spagna.
Loredana Berté partecipa al Festivalbar vince quell’edizione ed ottiene il premio di miglior voce femminile dell’anno a Vota la Voce. La canzone nasce dalla creatività di un grande della musica italiana, un cantautore raffinato ed attento: Ivano Fossati (nel 1978 Fossati aveva già scritto per la Bertè Dedicato, rivolta “ai dimenticati, ai playboy finiti, ai suonatori un po’ sballati e ai balordi, a chi è stato troppo solo e va sempre più giù, a chi ha paura e sta nei guai e ai cattivi che poi così cattivi non sono mai”).
La canzone ottiene un clamoroso successo, il disco di cui è il singolo di punta, venne registrato in parte a New York e tra i cori c’è anche sua sorella Mia Martini.
Alla premiazione del Festivalbar la cantante sale sul palco dell’Arena di Verona indossando un abito da sposa.
Sul finale della canzone, la Bertè inciampa sul lunghissimo abito e, recuperato il microfono, con prontezza e faccia tosta dice:
“Non sono una signora, questo vestito non lo so portare”.