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la trobairitz

un’autentica poetessa, trasgressiva, spudorata, sensibile, tragica e felice, travolgente e sottile

In una delle mie amate scorribande sul web ho scovato il nome di Beatritz de Dia; dato che adoro il nome Beatrice (nonostante Dante o grazie a Dante) e visto che conosco una Beatrice che mi strapiace per intelligenza, ironia e beltà, ho cercato di capire chi fosse ed ho scoperto che fu una donna conosciuta come la Contessa di Dia, o Comtessa de Dia.

Beatritz fu la più famosa tra le trobairitz, che sarebbe poi il femminile di troubadour, il trovatore tanto in auge nel basso Medioevo. Si conosce veramente poco della vita della Contessa di Dia, fu una delle poche donne che, con la sua voce, contribuì a creare il primo grande codice della poesia d’amore: la lirica provenzale. Nonostante sia stata una tra le più conosciute trobairitz di lei ci sono giunti cinque componimenti e scarsissime notizie biografiche. Sembra che il suo vero nome fosse Beatriz de Dia e che sia vissuta nella seconda metà del 1100 tra Provenza e Lombardia. Si conosce la data di nascita, 1140, ma non quella di morte e si conosce, o almeno si presume, il nome del marito: secondo alcuni Guillem de Peitieus un conte, secondo altri Raimon d’Agout, un mecenate di trovatori.

Quel che è certo è che la Comtessa de Dia, come i suoi colleghi uomini scriveva canzoni secondo i canoni dell’amor cortese, un sentimento assoluto, non legato al vincolo del matrimonio e per questo infinitamente più puro, libero da costrizioni, ardito al punto da rinunciare ad ogni riconoscimento sociale e destinato ad avere nella morte la sua apoteosi (eh..così era!). Il linguaggio nelle sue canzoni era spregiudicato, colto e raffinato, la sua arte era legata alle convenzioni del mondo cortese. Lo scenario in cui erano ambientate le composizioni era il castello e l’uomo al centro del suo cantare si dice fosse Rimbaud d’Orange, un signore feudale e a sua volta trovatore, scomparso a 35 anni.

Le trovatrici non furono molte, anche quello era un mondo maschile; cercarono di essere capite, di farsi sentire, di incanalare la loro anima, i loro sogni infranti, i loro desideri sulla carta e nelle canzoni, raccontando la gioia o i dolori dell’amore e la loro audacia. Come sempre hanno dovuto giustificare continuamente il loro talento per guadagnarsi non solo i piaceri dell’amore, ma anche la loro identità di artiste, di trovatrici. La Contessa di Dia fu un’audace e brillante trobairitz, un’autentica poetessa-cantautrice-cantante, trasgressiva, spudorata, sensibile, tragica e felice, travolgente e sottile. Lei fu indiscutibilmente una voce eccezionale del Medioevo, che ci mostra la poesia da un lato nuovo, quello delle donne.

Ho scelto la poesia che segue perché la penso come lei, anche riguardo le malelingue (e come diceva Ivan Graziani: Maledette malelingue!!!). Per prima la canzone tradotta ed a seguire l’originale.


La gioia pura mi dona felicità
La gioia pura mi dona felicità:
per questa io canto più gaiamente;
e non mi dispiace per nulla,
né mi dà alcuna preoccupazione,
sapere che agiscono a
mio danno i falsi e vili calunniatori,
e le loro maldicenze non mi spaventano,
anzi ne sono doppiamente felice.
Da me non hanno alcuna fiducia i calunniatori maldicenti,
perché non
può avere onore colui che è d’accordo con loro:
essi assomigliano alla nuvola
che si espande e per cui il sole perde i suoi raggi.
E per questo io non amo la
gente miserabile.
Quanto a voi, geloso maldicente,
non crediate che io abbia dubbi sul
fatto che Gioia e Gioventù non mi piacciano,
per il fatto che il dolore vi
indebolisce.

Ora il testo originale in lingua occitana

Fin jòi me don’ alegrança
Fin jòi me don’ alegrança:
Per qu’ieu chan plus gaiamen,
E non m’o tenh a pensança
Ni a negun pensamen,
Car sai que son a mon dan
Li mal lauzangièr truan
E lor mals ditz non m’esglaia,
Anz en som dos tantz plus gaia.
En mi non an ges fiança
Li lauzengièr mal dizen,
Qu’òm non pòt aver onrança
Qu’a ab els acordamen:
Qu’ist son d’altretal semblan
Com la nívol que s’espan
Que’l solelhs en pèrt sa raia,
Per qu’eu non am gent savaia.
E vos, gelós mal parlan,
No’us cugetz qu’eu m’an tarzan
Que Jòis e Jovenz no’m plaia,
Per tal que dòls vos deschaia.

Non si sa quando e dove morì, ma nonostante la sua presunta breve vita e la scarsa produzione pervenutaci, è riconosciuta come figura importante della letteratura provenzale (lingua d’oc) per la sua capacità di aver dato alla poesia dell’epoca sensibilità esistenziale ed erotica.

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